Bamako - I
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dal-nostro-inviato
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By Grandesacchetto
08/08/2008
Quando si sorvola il Mali di notte sembra di passare sopra l'oceano; è impossibile sapere se è per via del Sahara o la mancanza di elettricità nella maggior parte del paese.
Bamako invece brilla come una qualsiasi città, tanto che pare di atterrare in un posto qualunque, almeno per gli standard di un occidentale. Quello che invece fa capire che siamo in un mondo a parte è il neon con la scritta "Bamako Senou airport" con metà delle lettere spente; questo, unito ad altri piccoli dettagli, fanno entrare l'europeo in in uno stato di panico e paura noto alla scienza moderna come "sindrome catastrofica acuta", la quale consiste nel costante terrore di essere derubati, rapiti o anche peggio da qualsiasi persona più alta di un metro e mezzo. Per inciso, i piccoli dettagli sono, nell'ordine: "guardie del corpo" pressanti cacciate in malo modo dagli impiegati dell'aeroporto, tassisti dalla guida disinvola che sbagliando strada si infilano in vicoli bui, un camion ribaltato su una rotonda e la porta della casa d'accoglienza che non si apre.
Una volta però che la porta finalmente si apre, rimane una sensazione strana: i vicoli sono bui solo perchè lì non c'è luce, i vagabondi all'aeroporto cercavano soltanto di guadagnarsi 5 euro di mancia e gli sguardi lanciati dalle case nel vicolo buio erano solo di curiosità. Ci si sente colpevoli e stereotipati, l'uomo bianco che ha paura di quello nero, la parola "razzista" che ti aleggia intorno.
Benvenuto in Africa.
Bamako invece brilla come una qualsiasi città, tanto che pare di atterrare in un posto qualunque, almeno per gli standard di un occidentale. Quello che invece fa capire che siamo in un mondo a parte è il neon con la scritta "Bamako Senou airport" con metà delle lettere spente; questo, unito ad altri piccoli dettagli, fanno entrare l'europeo in in uno stato di panico e paura noto alla scienza moderna come "sindrome catastrofica acuta", la quale consiste nel costante terrore di essere derubati, rapiti o anche peggio da qualsiasi persona più alta di un metro e mezzo. Per inciso, i piccoli dettagli sono, nell'ordine: "guardie del corpo" pressanti cacciate in malo modo dagli impiegati dell'aeroporto, tassisti dalla guida disinvola che sbagliando strada si infilano in vicoli bui, un camion ribaltato su una rotonda e la porta della casa d'accoglienza che non si apre.
Una volta però che la porta finalmente si apre, rimane una sensazione strana: i vicoli sono bui solo perchè lì non c'è luce, i vagabondi all'aeroporto cercavano soltanto di guadagnarsi 5 euro di mancia e gli sguardi lanciati dalle case nel vicolo buio erano solo di curiosità. Ci si sente colpevoli e stereotipati, l'uomo bianco che ha paura di quello nero, la parola "razzista" che ti aleggia intorno.
Benvenuto in Africa.
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