21/08/08

Se passaste più di qualche giorno a Koutiala, sarete sicuramente portati a visitarne il carcere. Probabilmente troverete un pò strano il poterne entrare ed uscire senza nemmeno un documento o una robusta perquisizione, ma qui la vita è più informale ed elastica. A differenza delle carceri italiane, messe alle periferie più estreme delle città, la prigione di Koutiala si trova in centro, vicinissima al mercato. Davanti all'angusto ingresso, alcune guardie guardano la tv e una ci fa entrare, passando accanto alle scodelle del pranzo portate dalle mogli ai prigionieri locali. Trattengo il respiro pensando alle foto di Joao Silva e mi aspetto il peggio. Il carcere risulta essere più piccolo di quanto mi aspettassi: un recinto alto 5 metri racchiude contiene un basso capannone circondato da un cortile. Molte persone passeggiano, stanno dietro al fuoco della cucina nera di fuliggine o guardano un piccolo televisore. La guardia ci fa girare intorno al cortile, mentre i prigionieri ci radiografano e qualcuno si accoda lanciando qualche richiesta in francese, porgendoci dei porta-bic multicolore. Capiamo quindi che le visite di stranieri qui devono essere parecchio frequenti. Mentre cerchiamo di evitare le loro offerte nel più cortese dei modi, entriamo nel capannone con le celle, vuoto di giorno. Ci sono svariate cameroni quadrati di circa 4 metri di lato in cui conto una ventina di giacigli (tutti sul cemento): lo spazio è davvero poco e dormire tutti insieme dev'essere davvero dura. In una delle stanze un prigioniero è sdraiato apparentemente svenuto: ci spiegano che hanno scoperto da poco che è affetto da epilessia e lo lasciano da solo durante il giorno per fargli smaltire le crisi. L'istinto del fotografo si attiva per segnalare la presenza di una foto da fare, ma il divieto che ci è stato fatto all'ingresso soffoca anche le obiezioni di tipo morale. Dovrete accontentarvi di questa descrizione.
C'è un'ultima stanzetta con le due prigioniere donna che sono separate da tutti gli altri prigionieri da una porta:
la presenza di tutti gli altri uomini le costringe nella loro piccola stanza tutto il giorno e non osiamo immaginare le paure che possano avere. Entrambe sono prigioniere per crimini di gelosia: non sopportavano di non essere le favorite del proprio marito e hanno compiuto o tentato l'omicidio della rivale.
Mentre gli altri membri del nostro gruppo fanno qualche domanda al secondino, vengo "agganciato" dall'unico prigioniero che parla inglese, un giovane con i vestiti più laceri del normale che inizia a chiedermi qualche spicciolo con insistenza. Dopo un pò lo convinco che non ne ho e mi rivela di essere originario della Liberia. La successiva domanda in cui mi chiede se sono a conoscenza della guerra in quel paese mi lascia un profondo imbarazzo addosso. Ho colmato la lacuna solo al ritorno, leggendo "Ebano" di Ryszard Kapuscinski e sono rimasto sconvolto dall'ennesimo pasticcio combinato dagli americani. Vi consiglio la lettura di quel libro non solo per il capitolo sulla follia di Monrovia, ma anche per potervi immergere nel continente africano e riempire il buco che scuola ed informazione non hanno mai riempito a riguardo di questo continente. Intanto vi invito a leggere la pagina di wikipedia sull'argomento a mò di assaggio.